Perchè non ci sono state grandi artiste nella storia dell’arte? Alcun* risponderanno: Non è vero!… guarda Artemisia Gentileschi! Frida Kahlo! E poi… sì, insomma… ce ne sono state tante…no?


Linda Nochlin nel 1971 scrive: “Why Have There Been No Great Women Artists?”. Sceglie accuratamente il titolo provocatorio per questo saggio rivoluzionario per la storia dell’arte e la storia del femminismo. Una domanda come motore per una riflessione critica sulla questione delle donne nell’arte (e non solo – specifica la stessa autrice).

Nochlin non va a rispondere ponendosi sulla difensiva. Non giustifica l’effettiva assenza di grandi nomi tirando in ballo quelle rare eccezioni di artiste conosciute, o addirittura accusando chi pone la domanda di usare criteri di giudizio “maschilisti”.

Al contrario, l’autrice, affronta la questione analizzando i presupposti che hanno portato a questa domanda. 

Pablita Picasso

Fermiamoci un attimo a pensare. 

Linda Nochlin si chiede: Se Pablo Picasso fosse nato femmina, avrebbe avuto le stesse possibilità di diventare il grande artista che lui è stato?

Siamo sincer*, la risposta sarebbe no.

E a questo punto parte la riflessione sul perché. Senza vittimismi o accuse, è necessario uno sguardo oggettivo sulla situazione storica e culturale che ha portato le donne a non emergere al pari degli uomini, nell’arte come in ogni altro campo. Anche perché, se così non fosse le lotte femministe non avrebbero senso di esistere.

Non si parla di avere o no talento ma di opportunità.

La piccola Pablita non avrebbe avuto le stesse possibilità di studiare di Pablo. Se fosse riuscita ad entrare in accademia non le sarebbe stato concesso di frequentare le stesse lezioni: niente disegno dal vero con modelli nudi per le gentildonne. Di conseguenza non avrebbe potuto imparare alla pari della sua controparte maschile, di avere quindi le stesse capacità di ritrarre determinati soggetti e di avere le stesse committenze. Infine non avrebbe avuto le stesse opportunità di partecipare a apprendistati, mostre e concorsi, fondamentali per il successo di un artista.

Ammettendo che Pablita avesse una famiglia che la sosteneva in questa carriera, un padre pittore che le ha dato i primi strumenti per approcciarsi a questo mondo e che non le trasmetteva il comune pensiero che per le donne il dipingere fosse solo un diletto, superati poi i numerosi ostacoli istituzionali, arriverà poi il momento di un’altra scelta.

Se per Pablo non è mai stato un problema scegliere tra carriera e famiglia, per Pablita non sarà così semplice. Inseguire i propri sogni e cercare quella fama rara, accettando una vita di solitudine, o mettere da parte le proprie ambizioni per non rinunciare alla propria vita affettiva?

In arte, come nella vita, era scontato che la donna rinunciasse alla carriera e al lavoro nel momento in cui lo esigevano l’amore e il matrimonio. Una regola che in maniera più o meno diretta viene ancora inculcata alle bambine sin dalla nascita.

E se anche Pablita avesse scelto la via del successo artistico, non è detto che sarebbe stata libera da quella mentalità paternalistica che ci portiamo ancora dietro quotidianamente. Quella lotta interiore tra il senso di colpa e l’autostima, mai abbastanza solida da far ignorare i giudizi altrui. 

Nell’arte come in ogni altro campo

La stessa riflessione viene fatta anche da Virginia Woolf, in “Una stanza tutta per sé”. Considerando il campo letterario, anche lei si chiede “se Shakespeare fosse nato donna sarebbe diventato così celebre?”.

Sulla stessa linea d’onda si colloca anche il più recente lavoro dell’artista Daniela Comani. Con la sua “Orlando’s library” (2021) va proprio a giocare sul ribaltamento del genere nella cultura letteraria, sottolineando la predominanza del genere maschile. Nella sua libreria, i protagonisti letterari sono quindi trasformati nella loro controparte femminile: Le sorelle Karamazov, Sei personaggi in cerca d’autrice, La vecchia e il mare, La straniera, La baronessa rampante, La piccola principessa, La signora degli anelli, e così via…

Daniela Comani, Orlando’s library, 2021. fonte: https://notedisguardi.info/Daniela-Comani

Linda Nochlin sperava, nel 1971, che si potesse affrontare la questione criticamente. Che le donne ammettessero questa situazione di svantaggio non per essere compatite ma per evidenziare le problematiche istituzionali che ci portano ad essere sempre un passo indietro, su una strada accidentata e piena di ostacoli

Sperava che nel futuro si potesse discutere di queste problematiche, uomini e donne insieme, senza distinzioni di genere. Creare spazi paritari in cui camminare allo stesso passo, sulla stessa strada. 

Eppure, rispetto a quello che l’autrice si augurava, di strada ancora ne dobbiamo fare parecchia. Basta pensare che un’opera come quella di Daniela Comani è del 2021, e che una cantante pop come Taylor Swift ancora oggi canta:

I’m so sick of running as fast as I can

Wondering if I’d get there quicker

If I was a man

Ma il dibattito è acceso, e finchè si parla della questione, in modo critico e consapevole allora c’è speranza di raggiungere quella parità. Linda Nochlin, come Virginia Woolf, Daniela Comani, e tant* altr* parlano della questione della parità di genere perché vogliono scuotere le coscienze, con la fiducia di portare il cambiamento. Quindi discutiamone. Perché quando non se ne parlerà più o non esisterà più il problema o non ci sarà più la volontà di lottare per questo cambiamento.

– Sveva

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