Come succede spesso con le cose belle, ho scoperto i libri di Valentina D’Urbano totalmente per caso, quando nel lontano 2012 una mia amica mi prestò il suo primo romanzo, “Il rumore dei tuoi passi”. Da allora non mi sono persa neanche un’uscita dell’autrice, e nonostante io sia cambiata molto in questi anni, ogni suo libro è riuscito invariabilmente ad appassionarmi. “Figlia del temporale”, pubblicato con Mondadori nel settembre 2024, non ha fatto eccezione.
«Tutte quante, tutte. Dobbiamo sempre rinunciare a qualcosa. Dobbiamo sempre spezzarci in qualche punto. Intere non andiamo bene, intere non ci possono sopportare, non è vero?»
Il romanzo segue i primi vent’anni della vita di Hira, nata e cresciuta in Albania tra gli anni ’60 e ’70, durante la dittatura comunista di Enver Hoxha. Hira, figlia di un funzionario di partito, trascorre la sua infanzia nella capitale Tirana, in una bella casa dotata di ogni comodità, e il suo futuro le sembra già scritto: andrà all’università, troverà un lavoro, si sposerà per amore.
Tuttavia, dopo che un’esplosione le porta via la sua casa e la sua famiglia, Hira è costretta a trasferirsi dagli unici parenti che le rimangono sulle Bjeshkët e Nemuna, le “montagne maledette” nell’estremo nord del Paese. Qui, nonostante sia fortemente osteggiato dal regime, vige ancora il Kanun, l’antico codice consuetudinario delle montagne albanesi.
Col passare del tempo, Hira inizia ad abituarsi a questo mondo così diverso da quello da cui proviene. Impara a fare il bucato al fiume, a prendersi cura dei polli e manovrare la zangola per fare il burro, ma anche a sopravvivere alle carestie che affliggono il villaggio e ad ingoiare la nostalgia per la sua vita precedente.
Ma quando il padre adottivo le impone un matrimonio combinato, saranno proprio le leggi patriarcali della montagna a offrirle una via di fuga: diventare una burrnesh, «né uomo né donna, entità sperduta e irriconoscibile, creatura libera». In cambio di un voto di castità, Hira prende il nome di Mael e rinasce come uomo agli occhi della società. Mael è rispettato da tutti al villaggio, può bere alla bettola, guidare, fumare, e soprattutto prendere decisioni sulla sua vita. Ma la solitudine schiacciante e la soppressione dei desideri, delle emozioni, dell’identità di Hira sono forse un prezzo troppo alto da pagare in cambio della libertà?


Burrnesh ritratte da Jill Peters. Crediti: https://www.jillpetersphotography.com/swornvirgins.html#nil
Uno degli elementi di questo romanzo che ho apprezzato di più è l’ambientazione incredibilmente originale. Il villaggio, i boschi e le montagne dove si svolge la vicenda sono dipinti dall’autrice in modo così evocativo che nelle prime pagine ci si trova spaesati e sopraffatti insieme alla protagonista, ma arrivati a fine lettura sembra di aver vissuto lì per anni. Questi luoghi che paiono fuori dal tempo sono tuttavia inseriti perfettamente nel contesto storico in cui si svolge il romanzo, e la dittatura è un’ombra sempre presente nelle vite dei personaggi.
Questa ambientazione apparentemente lontana è un mezzo per affrontare temi molto attuali: il controllo dei corpi e dei desideri delle donne, la ricerca della propria identità e il dolore quando questa viene negata, i sacrifici necessari per conquistare nuove libertà e diritti.
Ultimo ma non meno importante (anzi, per me è un fattore fondamentale per valutare un libro): la lettura è scorrevolissima, con capitoli brevi e flashforward che creano dipendenza e impediscono di mettere giù il romanzo finché non si arriva all’ultima pagina, anche se dall’altro lato avrei voluto non finisse mai.
Se non l’aveste già fatto, spero di avervi suscitato almeno un po’ di curiosità di leggere questo romanzo. Ci vediamo al prossimo articolo!
– Franci
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