Grandi nomi e potenti elementi artistico-intellettuali non sempre si rivelano essere la combo perfetta per la realizzazione di un grande film. Al contrario, a volte volare troppo vicino al sole porta a conseguenze catastrofiche. Malcolm & Marie (2021) è l’emblema di questo peccato di tracotanza: il film di Sam Levinson è un Icaro verboso e inebriato che cade vittima della sua presunzione, tradito da aspirazioni troppo alte e da ali esteticamente bellissime – su regia e fotografia niente da recriminare, ma che mancano di coesione e resistenza. In sostanza, insomma, tanto fumo e niente arrosto. Ma andiamo con ordine, prima di tutto:
di cosa parla Malcolm & Marie(2021)?
Il regista Malcolm ( John David Washington) e la sua giovane compagna Marie (Zendaya) rincasano in piena notte dopo la trionfante première del film di lui. Marie, ex attrice nonché musa ispiratrice di Malcolm, si dimostra da subito cupa e arrabbiata: il compagno, infatti, non l’ha ringraziata pubblicamente per essere l’evidente fonte d’ispirazione del personaggio principale del film. Le frustrazioni iniziali di Marie sfoceranno in un tornado crescente di furia e risentimento, andando a costituire una trama scandita da un litigio continuo, uno snervante ping pong di monologhi folli e complessi in cui verranno svelati tutti i retroscena e le complessità della storia d’amore dei due protagonisti.
«L’uomo che ho davanti in questo momento è al suo apice. Quando hai urlato in vasca “che puoi spezzarmi come un rametto” è il meglio e il peggio dell’uomo che sarai in questo nostro rapporto. […] Ma se annienti con regolarità ogni persona che ti circonda finirai col vivere in una cazzo di realtà fatta di finzione. Guardami, io sono l’unica superstite. Sono l’ultima rimasta a guardarti, a dirti: “ora basta, prova a fare qualcosa di meglio”. Se non per me, almeno per il tuo lavoro.»
Malcolm & Marie (2021), Sam Levinson
Da amante della performance teatrale, solitamente accolgo i kammerspiel con grande calore ed entusiasmo. Trovo inoltre affascinante il rischio di scegliere di girare un film in una sola ambientazione: proprio come a teatro, infatti, se gli attori non padroneggiano la scena con maestria, la performance va in frantumi. La bravura di Zendaya e John David Washington è indiscutibile, come lo sono la validità regia di Sam Levinson (già famoso per l’acclamata serie tv Euphoria, di cui Zendaya è protagonista) e quella dell’enigmatica, elegante scelta fotografica del bianco e nero su pellicola – il film è girato su pellicola 35 mm.
Interessante, per quanto mi riguarda, anche l’idea alla base della sceneggiatura: no, in effetti non è necessario fare un film su qualcosa. Un film può anche non parlare di niente, può anche ritrarre la quotidianità senza sconfinare in avventure rocambolesche o epopee incredibili. Picasso diceva che “l’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”. L’arte può anche nascere proprio dalla polvere della vita di tutti i giorni: anche la più ordinaria tra le situazioni – come può esserlo una serata di urla, pianti e porte che sbattono tra due persone imperfette che si amano – può smuovere qualcosa in noi e coinvolgerci nell’intreccio. La suspense che nasce dalla tensione emotiva di un litigio non è di certo un espediente innovativo nel mondo del cinema: ci sono decine di film – centinaia, probabilmente – che si servono di questo stratagemma per dare vita a dei capolavori dell‘introspezione personale e di coppia. Eppure, la linea rossa che separa Malcolm & Marie dai suoi lontani parenti di origine come Chi ha paura di Virginia Woolf? (Edward Albee, 1966) o Paura d’amare (1991, Garry Marshall) è evidente e imprescindibile.
Il principio di questi tre film è più o meno lo stesso: le due parti di una coppia si scontrano, e dal loro confronto emergono tutti i difetti della loro relazione e delle loro rispettive personalità. Tutti e tre questi film, tra l’altro, poggiano sulle interpretazioni fenomenali di coppie di attori che fanno scintille. Quindi, se il principio è lo stesso, dov’è il problema Malcolm & Marie?
Il problema è l’eccesso. È tutto troppo. Troppo cosa? Vi faccio un breve elenco.
- Innanzitutto, si parla troppo.
Parole parole parole. Se le liti e il confronto che tengono in piedi i lungometraggi di Albee e Marshall sono scandite da un ritmo incalzante e da una sceneggiatura densa ma sempre brillante, l’eccessiva, martellante predominanza dei monologhi nel film di Levinson risulta noioso, logorante, addirittura nauseante. Inoltre, tutto questo parlare finisce per nuocere gravemente agli attori, che finiscono per infastidire quanto quegli alunni frustrati che, per confermarsi i primi della classe, passano intere lezioni con la mano alzata per farsi notare dalla maestra. - Punta troppo in alto, ma…
Levinson, chiaramente, pensa di aver scritto il film della vita, ma per non apparire pretenzioso e autoreferenziale decide di nascondersi dietro alla falsa modestia di una situazione di ordinaria vita di coppia. In realtà gli scopi di affermazione intellettuali dell’autore sono evidenti. Peccato non riesca nel suo intento. Chi lo sa, magari se questo testo lo si vedesse messo in scena su un palcoscenico farebbe un effetto diverso. - … non dice niente.
Tanto rumore per nulla, avrebbe detto Shakespeare. Alla fine della fiera, dopo quasi due ore di occhiatacce, grida, scatti d’ira, gesti drammatici e affermazioni agghiaccianti che denotano una cattiveria e un bisogno di supporto psicologico non da poco, restiamo con un bel fico secco in mano. E allora la domanda mi sorge spontanea: ce n’era proprio bisogno? Avevamo bisogno di due ore di totale, inesauribile follia? A lasciare ancora più perplessi, tra l’altro, è la superficialità della lite: dei trecento tasti dolenti presi in esame non ce n’è neanche mezzo che venga sviscerato per bene. Il risultato è che il livello di sfinimento dei protagonisti dopo una notte passata a scuoiarsi vivi non è neanche lontanamente paragonabile alla fatica percepita dallo spettatore.
A conti fatti, mi sento di dire questo: se volete vedere un film che vi faccia sentire meglio su voi stessi e sulla vostra relazione con il vostro partner, Malcolm & Marie fa sicuramente al caso vostro. Se siete persone molto tolleranti, senza pretese e volete un film che esteticamente vi soddisfi, questo film potrebbe fare per voi. Se cercate un film che esprima qualcosa di profondo sull’animo umano, sul cinema e sulle relazioni, sappiate che questo film ci prova, ma (per me) non ci riesce per niente. Dopodiché, ho visto di peggio.
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Durata: 106 min
Genere: drammatico, sentimentale
Con: Zendaya, John David Washington
Regia: Sam Levinson
Paese di Produzione: USA
Afrodiciamo: 2/5
–M.
© immagine di copertina Netflix
13 Febbraio 2021 alle 18:16
Chi ha paura di Virginia Woolf? è un cult, ma per me il miglior film degli anni 60 è quest’altro: https://wwayne.wordpress.com/2019/06/01/in-viaggio-verso-te/. L’hai visto?