Buongiornissimo, poesia? ☕️


Eugenio Montale e la moglie Drusilla Tanzi

La settimana scorsa si è spenta la mia nonna Nelli. Se n’è andata in silenzio, con tutta la semplicità che l’ha sempre contraddistinta. È successo talmente in fretta che, a malapena, riesco a rendermene conto.

Ho passato giorni a rispondere ai messaggi di affetto e vicinanza di amici e parenti, ribadendo più e più volte a me stessa e a loro che “è stata una cosa veloce” che “ha vissuto la sua vita” e che, in fin dei conti “almeno non ha sofferto”. Sono tutte cose vere, e sono anche cose che, in qualche misura danno conforto. La verità, però, è che non siamo mai pronti a perdere le persone che amiamo. Conosciamo le regole del ciclo della vita, sappiamo che non possiamo farci nulla, ma egoisticamente non vorremmo mai dover lasciare la mano dei nostri cari, neanche quando ormai sono ridotti ad un’ombra di quello che sono stati.

Per quanto uno cerchi di capacitarsi della perdita, la nostalgia è opprimente ed è estremamente difficile trovare le parole per esprimere questa nuova, straniante compresenza di amore e senso di vuoto. Pensando a mia nonna e alla sua vita macchiata dall’ipovisione, ho pensato a questi famosi versi di Eugenio Montale:

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede
.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.


Il 20 ottobre 1963, a Milano, morì la scrittrice Drusilla Tanzi. Quattro anni dopo, in memoria della moglie, Eugenio Montale scrisse uno dei componimenti più noti e commoventi della sua intera poetica: Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale – inserita poi all’interno della raccolta Satura (1971).

Sono molte le poesie che il poeta dedica alla moglie Mosca – così affettuosamente ribattezzata per la sua miopia molto severa –, ma nessun’altra, a parere mio, riesce a manifestare con tanta immediatezza lo stretto legame tra affetto e nostalgia che nasce dalla morte di una persona a noi cara. I versi liberi di Montale racchiudono, nella loro semplicità, tutte i colori del cordoglio: l’assenza, la tristezza, la paura, l’affetto, l’impotenza.

C’è però un aspetto evidente nella poesia che trovo prezioso e in cui mi rivedo particolarmente: la gratitudine per tutti i momenti vissuti con chi abbiamo perso. Montale piange Mosca ricordando metaforicamente gli alti e i bassi della vita che li ha uniti, e dalle sue parole emerge la gratitudine per tutto quello che i momenti accanto alla donna amata gli hanno lasciato.

Di scale, con mia nonna, ne ho scese milioni anch’io. E se letteralmente, sono stata io a darle il braccio per aiutarla a scenderle, è chiaro che, su un piano metaforico, è stata lei a darmi il braccio per anni, aiutandomi a superare le difficoltà. Non è facile pensare di vivere senza di lei, certo, ma la gratitudine che provo è immensa.

E i ricordi… i ricordi sono tanti, e i ricordi hanno un valore inestimabile. C’è una citazione di Winnie the Pooh di Milne che dice:

“Che fortunato sono ad avere qualcosa che rende così difficile dire addio”

Winnie the Pooh, A.A. Milne

Certo, non è facile cercare di vedere la perdita sotto questa prospettiva. È più facile perdersi nel dolore, piangere chi amiamo perché fisicamente non è più con noi. E piangere chi amiamo è importante, ovviamente. Ma ricordare è vitale, è terapeutico. Il ricordo non ci restituisce chi abbiamo perso fisicamente, ma ci permette di sentire quella persona sempre accanto e di non dimenticare mai quello che ci è stato lasciato.

Sono passati nove giorni da quando nonna ci ha lasciati.
Non è per niente facile, ma mi concentro sulle cose belle.
La ricordo per il suo sorriso gentile, la sua spontaneità, la leggerezza, la battuta pronta e la tenacia con cui ha sempre affrontato ogni singola difficoltà.
Se chiudo gli occhi riesco a vederla, con la sua pelle candida e gli orecchini d’oro. Se mi concentro sento la sua voce che intona “Fin che la barca va”, per poi scoppiare in una fragorosa risata. Se mi sforzo per bene, riesco a sentire il profumo della crema Nivea, e il tocco della sua carezza sulla mia guancia.
Non è facile. È come se mancasse un pezzo.
Eppure, ricordandola sorrido.

E anche se ora che non c’è più, è il vuoto ad ogni gradino”, nella ferocità di questo addio provo profonda gratitudine per avere avuto qualcuno che mi ha lasciato così tanto, e che “rende così difficile dire addio”.

Grazie a tutti quelli che abbiamo amato e perso, che le scale che abbiamo sceso dandoci il braccio a vicenda ci diano sempre la forza e il coraggio di scenderne tante altre.

A venerdì prossimo!
M.