Terzo e ultimo appuntamento con le interviste ai vincitori di Art Container. Ho iniziato parlandovi di Alessia Bottone, vincitrice con l’acclamato e commovente La Napoli di mio Padre, proseguendo poi con l’abile animatore 2D Adolfo Di Molfetta e il suo divertentissimo corto animato THE N.A.P.. Chiudiamo oggi il cerchio con le parole del regista americano Nich Perez, vincitore della menzione Art Container per il suo documentario epistolare Letters: the art of grieving (lit. Lettere: l’arte del cordoglio, ndr).

«Dell’arte di perdere si è facili maestri», cita una famosa poesia di Elizabeth Bishop.
Ben lontana dall’esprimere giudizi sulla difficoltà di gestione della perdita di una persona cara, l‘esperta macchina da presa di Nich Perez ci accompagna con grande originalità nella vita di tre donne che sfidano il dolore della perdita a colpi d’arte. E nonostante Natalie, Alexis e Joan si trovino ad affrontare tre perdite differenti, in momenti della vita diversi e attraverso le più disparate forme di art-therapy, attraverso le loro parole entriamo nel vivo di un dolore lacerante, coraggioso, viscerale, una ferita che non può essere rimarginata, ma che riesce a trovare sollievo e sfogo attraverso il potere salvifico dell’arte.

Nich Perez, vincitore della menzione speciale per “Letters: the art of grieving”© immagine

Nich è un oratore stratosferico, una di quelle persone che, potendo, rimarrei ad ascoltare per ore. Avrei voluto avere a disposizione più di mezz’ora e cinque misere domande per riuscire a indagare sulle mille sfaccettature della sua poetica. Quando l’ho contattato su instagram per comunicargli l’uscita della nostra intervista, mi ha risposto che spera che i nostri cammini si incrocino di nuovo”. Me lo auguro di cuore, trovo davvero che sia un uomo che ha molto da insegnare a livello artistico e da dare a livello umano.

Qui sotto vi riporto alcune delle cose che ci siamo detti. Se volete saperne di più, scorrete fino al video dell’intervista! (che trovate per intero anche sui nostri profili Facebook e Instagram)!📣 🎬



[Martina]:
Grazie Nich per essere qui con noi oggi e congratulazioni per il premio! Nel tuo docufilm Letters: The Art of Grieving l’arte gioca un ruolo fondamentale. Anzi, possiamo dire che l’arte, la perdita e il dolore sono le vere protagoniste di questo film. Questo è uno dei motivi per cui il tuo lavoro si presta bene per un festival come Art Container, che si ripropone di celebrare e riunire tutte le arti. Come e perché hai deciso di affrontare il tema della perdita proprio dal punto di vista dell’arte? Com’è nata quest’idea?

[Nich]:

Beh, faccio il regista e il docente da più di dieci anni. Il progetto si è evoluto negli anni grazie all’interazione con i miei studenti e altre persone, a cominciare da mia mamma, che è morta di cancro. Credo che il tentativo di affrontare quel dolore e, simultaneamente, combinarlo con la mia creatività mi abbia fatto capire che tipo di film avrei dovuto fare. Ho cominciato a fare ricerca sul tema del trauma, su come si può ricreare attraverso i media e, nello specifico, nei documentari. Volevo creare un documentario che spronasse le persone ad agire.

È importante parlare di questi temi in maniera diretta. E per fare questo e per inserire delle storie calzanti nel contesto narrativo, negli scorsi dieci anni ho raccolto le storie di circa 20-25 persone. Ed è meraviglioso vedere come queste persone hanno trasformato le proprie battaglie in lavori stupendi. Penso che questo potrebbe accadere ad altri, anche se, naturalmente, ognuno vive il dolore in modo differente. Quindi, quello che vogliamo far emergere da questo film non è necessariamente una soluzione, bensì un processo. E penso che parlare della soluzione possa dare alle persone un’idea del processo.


[Martina]:
Come ci si sente ad essere giudicati da un gruppo di studenti universitari, da giovani appassionati di film e di cultura? E, ancora, quanto è importante al giorno d’oggi che un ruolo così fondamentale venga dato a dei giovani?

[Nich]:
Sai, questo film è stato creato insieme a studenti universitari – ormai li considero miei collaboratori! –. Devi sapere anche che, in una delle università in cui ho insegnato, nel corso di dieci anni tre studenti si sono suicidati. La verità è che non viene dato abbastanza peso alla salute mentale. E quindi volevamo che ci fosse una discussione su questi temi. Questo è lo scopo principale dei documentari: si chiama documentario perché documentiamo la vita, perché osserviamo la vita attraverso una finestra. Un film viene apprezzato di più se le persone decidono di guardarlo, e così avviene per i documentari […]. Una cara amica una volta mi ha detto che “se vuoi fare arte da dilettante, tanto per fare arte, beh allora buon per te. Ma se fai arte con uno scopo preciso in mente, quello scopo ti guiderà durante tutta la tua vita”. È anche quello che dico ai miei studenti: quando stai creando qualcosa è solo perché vuoi avere più likes o è perché ti vuoi iniziare una conversazione ed essere soddisfatto come essere vivente?

[Martina]:
Letters: The Art of Grieving è un viaggio delicato e poetico nella vita e nella mente di tre donne che si affidano a tre forme d’arte differenti per riuscire a fare i conti con traumi e perdite. Si tratta di qualcosa che hai ricavato dalle tue esperienze? Prima hai menzionato tua madre. Cosa ti ha lasciato questo progetto dal punto di vista personale?

[Nich]:
La trama si è sviluppata grazie ai legami con queste tre donne ed è stata scandita dai tre diversi tipi di dolore che contraddistingue le loro storie.
Quando perdi una persona cara non si tratta semplicemente del “perdere qualcuno”, ovviamente il dolore ha molte sfaccettature.  Io però ho deciso di concentrarmi proprio su quell’aspetto. Quando ripenso al mio percorso come docente e artista, il mio pensiero va a mia madre, che mi ha insegnato come diventare un docente e a innamorarmi della macchina da presa. La presenza e gli insegnamenti di mia madre si sono ripercossi su tutto il resto: lavoro, relazioni, ricerche. Ad esempio: dieci anni fa, quando le hanno diagnosticato un cancro incurabile, mi sono preso una pausa dall’insegnamento per prendermi cura di lei. E ogni giorno la filmavo e la intervistavo. Quella connessione che il cinema aveva stabilito per me è qualcosa che mi lega indissolubilmente a lei, non posso replicarla con altri. Ma ho pensato che avrei potuto replicare il processo della creazione di un legame con qualcuno che hai perso.
In questi anni ho imparato che scrivere una lettera a qualcuno è la cosa più intima che ci sia. E che se combini le lettere con il cinema tutto diventa più profondo, più intimo, perché puoi esplorare emozioni che non sono ancora state esplorate.

L’artista Alexis Roberts Keiner in una scena di Letters: The Art of Grieving, © immagine Letters: the art of grieving

[Martina]:
Come avete realizzato questo film e quanto tempo ci avete messo?

[Nich]:
Ci sono voluti sei anni in totale, un anno per la produzione vera e propria – perché abbiamo girato in più posti. Quando ho ideato il progetto ho chiesto e ottenuto dei finanziamenti alla University of Southern California e all’Art Therapy Association.

Nel corso degli anni abbiamo delineato un piano e lo abbiamo applicato a queste tre specifiche persone. Conosco Natalie da quando era una matricola al college. Condividiamo lo stesso dolore: entrambi abbiamo perso la mamma. Con lei abbiamo girato nel deserto, mentre con Joan e Alexis abbiamo girato a San Francisco. Loro tre non si conoscevano prima, sono stato io a farle conoscere e a strutturare il film dalla prospettiva di una “comunità”[…].

È stata dura e ci sono voluti un sacco di soldi. È stata un’avventura… ma questo film è stato un’esperienza davvero stimolante per me, e la porto avanti continuando a fare lavori come questo. Ci sono tante cose in arrivo nei prossimi mesi, sono molto contento.

[Martina]:
Attraverso le esperienze vissute da Natalie, Alexis e Joan, questo film evidenzia l’importanza dell’art therapy (arteterapia, ndr.) per riuscire a superare e gestire la morte di una persona cara. Pensi che questo film potrebbe spronare persone che stanno affrontando lo stesso trauma a cercare una forma di terapia? E, in questo caso, è un obiettivo che ti eri posto mentre stavi ideando il film?

[Nich]:
Credo che lo scopo principale fosse quello di far partire una discussione sull’assenza di sensibilità su tematiche come la depressione giovanile in aumento, i casi di suicidio, la pressione a cui sono sottoposti, etc. Sono cresciuto in una cultura nella quale gli uomini non dovevano piangere, era qualcosa che veniva costantemente rimarcato. Ovviamente sono sciocchezze.

Noi artisti riusciamo a cogliere i sentimenti, e che questi sentimenti sono essenziali per essere umani. Come artisti, abbiamo il dovere di farci portavoce di questo […]. Credo che la bellezza di fare arte sia che ognuno crea la propria. Sai, è buffo perché stavo facendo paddle boarding con un mio ex studente a Austin, in Texas qualche giorno fa. E lungo il ponte, mentre stavamo pagaiando, abbiamo visto un cartello che diceva: La felicità sta dentro di te, quindi rilasciala facendo arte. Penso che questo sia davvero bellissimo. Questo è come risponderei alla domanda “perché fai cinema?”

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Tra una chiacchierata e l’altra, siamo giunti al termine di questa magica, avvincente esperienza. Nonostante l’incertezza incombente sulla prima edizione e le turbolenze dovute alla pandemia, Art Container ci ha stretti nel caldo abbraccio culturale di cui non sapevamo di aver bisogno, regalandoci lungo il viaggio non solo i racconti di tre artisti straordinari, ma anche quelli delle loro strabilianti opere d’arte.
Grazie, Art Container, speriamo di rivederci il prossimo anno!

Alla prossima!🎬
-M.