La mano di un uomo che stringe forte le membra di una donna, le dita che si imprimono sulla pelle, l’atto della fuga, il dinamismo di chi si vuole allontanare, la disperazione di aver subito violenza: dettagli che spesso sono presenti nella storia dell’arte e purtroppo anche nella vita quotidiana.
L’arte, infatti, è uno strumento per rappresentare la realtà ed è stata usata spesso per trattare la tematica della violenza, soprattutto nei confronti delle donne. È difficile parlare di violenza contro il genere femminile anche perché la definizione stessa di violenza è molto ampia, includendo quella fisica, psicologica, sessuale, economica, spirituale e stalking. Oltre a ciò, questo fenomeno presenta un elevato numero oscuro, cioè non si è realmente in grado di conoscerne l’ampiezza e la diffusione. Eppure, la violenza contro le donne risulta essere una delle principali problematiche non solo del nostro periodo storico, visto che in Italia il 31,5% delle donne ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza (Istat) e che nel periodo 1° gennaio – 21 novembre 2021 sono stati 109 gli omicidi con vittime di sesso femminile (Ministero dell’Interno), ma anche della storia dell’umanità. La violenza contro le donne è il risultato di una cultura basata su atteggiamenti sessisti interiorizzati e normalizzati, è l’apice di una piramide che vede alla base comportamenti sessisti (pregiudizi, mansplaining e manspreading), poi salendo molestie (minacce, ingiurie, street- e cyber-harassment), di conseguenza aggressioni sessuali (sfregamenti, baci, etc. non consenzienti) e per concludere crimini (stupro e omicidio).
Prendiamo per esempio la statua di Bernini Il ratto di Proserpina realizzata tra il 1621 e il 1622 e ora ubicata presso la Galleria Borghese a Roma. La statua realizzata in marmo bianco rappresenta il mito di Proserpina, una giovane e bella fanciulla, figlia della dea Demetra, di cui il dio degli inferi Plutone si era invaghito. Dopo aver chiesto a Giove il permesso di sposarla, Plutone si recò sulla terra e decise di rapirla. Proserpina era disperata, urlò e chiese pietà al padre Giove, ma solo la madre Demetra rimase sconvolta dal ratto. Bernini rappresenta proprio il momento culminante dell’azione: la divinità che stringe forte Proserpina, con le mani grandi e violente che affondano nella carne della ragazza, la quale cerca di sfuggire con tutte le sue forze. Il dinamismo della statua rappresenta tristemente la superiorità concettuale maschile nei confronti delle donne, le quali risultano essere quasi pedine di un gioco sociale esclusivo. Questa statua, quindi, rappresenta un chiaro esempio di violenza basato su una cultura di superiorità maschile. Traducendo l’episodio ai giorni nostri, si potrebbe parlare di violazione dell’art. 558 bis del Codice penale (“Costrizione o induzione al matrimonio”) introdotto dalla legge 69/2019, definita anche Codice Rosso, che ha come obiettivo il rafforzamento ulteriore della tutela delle donne.

Pensiamo al libro Per soli uomini. Il maschilismo dei dati, dalla ricerca scientifica al design di Grigliè e Romeo e all’idea di una società fatta per e realizzata dagli uomini, e analizziamo anche quest’idea di differenza sociale rappresentata dalla statua Il ratto delle Sabine di Giambologna (1580-1583) presente nella Loggia dei Lanzi a Firenze. Il ratto delle Sabine è un episodio mitologico relativo alla fondazione di Roma, secondo il quale Romolo, per popolare Roma, aveva deciso di rapire le donne del popolo dei Sabini con le armi. Il ratto è realizzato da Giambologna attraverso una linea “serpentina” in cui i tre protagonisti si intrecciano e permettono una visione della statua quasi a 360 gradi. L’artista è riuscito a trasmettere pathos, a rappresentare la disperazione e l’aggressività dell’atto nei confronti della donna, la quale cerca di sfuggire alla presa potente dell’aggressore.

Interessante è l’analisi di Apollo e Dafne, statua realizzata da Bernini tra 1622 e 1625 e ora presente nella Galleria Borghese a Roma. Il mito vede protagonisti inizialmente Apollo e il dio dell’amore Eros, il quale ha destinato il primo a un amore non ricambiato nei confronti di Dafne. Il dio delle arti cercava disperatamente la fanciulla, la rincorreva, e questa cercava sempre di sfuggire dal suo perseguitore. Disperata dall’insistenza e dall’accanimento, Dafne chiese ai genitori di essere trasformata nel caso in cui Apollo fosse riuscito a prenderla. Purtroppo, un giorno Apollo riuscì a catturarla e, come chiesto, la ragazza venne trasformata in un alloro, simbolo poi della stessa divinità. Bernini riesce a cogliere il momento della metamorfosi, l’inizio della fine di Dafne. Facendo un parallelismo con l’attualità, l’episodio rappresentato da Bernini potrebbe essere descritto come stalking, secondo l’articolo 612 bis del Codice Penale. Gli atti persecutori sono definiti come un escalation irrefrenabile con culmini di aggressione in cui lo stalker, in modo meno evidente e poi sempre più invadente, diventa un persecutore della vittima attraverso appostamenti, pedinamenti, invio di doni, di lettere, telefonate dal contenuto ingiurioso, molestie attraverso via telematica. Secondo i dati Istat, si stima che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) abbia subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita.


È fondamentale parlare di violenza contro le donne ed evitare la normalizzazione di questo fenomeno, distruggendo alla base quei comportamenti e quelle idee che generano l’inferiorità femminile e mettono a rischio questa popolazione con l’obiettivo che le donne non subiscano più violenza e possano godere della loro libertà senza timore di “diventare alloro”.
– Sara
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