L’effetto che crea la visione del film Oppenheimer è paradossalmente e allo stesso tempo coerentemente quello di una bomba atomica: in un primo momento si ha l’impressione di aver assistito ad un lampo abbagliante che rende sterile ogni possibilità di farsi un’idea precisa di quanto si è appena visto, la mente sgombra, incredula e alla ricerca di un significato. E poi all’improvviso, come in un’esplosione, tutti i significati che si cercavano arrivano uno ad uno, violenti e rumorosi, che solo per il fracasso che producono, fanno capire che quello che si è appena visto è senza dubbio un buon film.

Così, almeno per me, si potrebbe riassumere la prima sensazione che ho provato mentre lasciavo la sala dopo la visione dell’ultimo lavoro di Christopher Nolan, un regista che notoriamente mette in atto un gioco con il proprio spettatore: le sue storie fanno capire tanto di dove si vuole andare a parare ma anche pochissimo. In questo gioco lo spettatore ha un compito fondamentale: quello di interpretare. Trovo intrigante questo aspetto dei suoi film, perché è come se la storia assumesse un significato diverso in base a chi la guarda, non portando quindi ad un’interpretazione univoca, ma creando dei dibattiti che derivano da opinioni e sensazioni molto diverse tra loro.

Oppenheimer in questo non fa eccezione: è un film innanzitutto storico, quindi per quanto Nolan potesse avventurarsi nella sua ricorrente visione metafisica delle cose, in questo caso ha dovuto puntare su altro. Ed è a questo punto che entra in gioco un altro focus, quello dell’introspezione.

Fonte: style.corriere.it

Robert Oppenheimer, interpretato da un Cillian Murphy al massimo del suo talento, si fa strada come fisico nel corso degli anni ’30, fino a diventare insegnante presso l’Università della California e in seguito direttore scientifico all’interno dei laboratori segreti di Los Alamos, nel mezzo del deserto del New Mexico, dove prende parte al noto Progetto Manhattan, il piano statunitense per porsi in vantaggio rispetto ai nazisti e creare un’arma tanto all’avanguardia quanto letale: la bomba atomica.

Tutte le vicende sono accompagnate da una colonna sonora che è molto più di una semplice musica di sottofondo: la musica racconta gli eventi in maniera ininterrotta, in un crescendo di suoni che esplodono con il silenzio più totale all’esplodere della bomba, durante la sua prima prova, il test Trinity. Un paradosso che arriva con tutta la forza del caso.

Attraverso queste tre intense ore conosciamo l’uomo dietro una delle invenzioni più drastiche della storia. Entriamo in contatto con i suoi pensieri, con la persona che è prima e quella che diventa dopo la bomba atomica e, soprattutto, dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, un pezzo di storia che ancora oggi fa venire i brividi.

Riflettendo sulla figura di Oppenheimer, su questo personaggio complesso e a tratti misterioso, ho realizzato che raramente si pensa all’inventore di qualcosa come al responsabile di quello a cui porta quell’invenzione. O meglio, se si tratta di un’invenzione costruttiva è comune che il merito venga riconosciuto al suo inventore. Pensiamo ad esempio all’auto: Karl Benz è considerato un idolo per essere stato il primo a ideare qualcosa di simile all’auto che oggi ci porta ovunque vogliamo. 

Con le invenzioni distruttive è diverso. Qualcuno, ad esempio, conosce il nome di chi ha inventato il fucile? O la mina antiuomo? Probabilmente no.

Con Oppenheimer è diverso: il suo nome vive in un limbo tra l’eroe e l’antagonista, rappresenta la crepa tra scienza e morale. E’ colui che ha progettato un’arma vincente per gli Stati Uniti, ma anche colui che si è dovuto portare sulla coscienza le vite di più di duecentomila persone.

E, proprio perchè Nolan sa scatenare le opinioni più diverse, ora vorrei conoscere la tua. Scrivila nei commenti!

– Beatrice

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