(Spoiler: no, di bello non c’è stato solo Poor Things!)

Ciao lettorə,
perdonami se quest’anno non ti ho portatə con me nella frenetica vita da accreditata stampa al Festival del Cinema di Venezia. Tante volte avrei voluto avere il tempo di raccontarti le impressioni a caldo sui film più attesi, le reazioni all’avvistamento di vip dal vivo (pochi, quest’anno, per via dello sciopero di attori e sceneggiatori hollywoodiani), i retroscena dei dieci giorni più turbolenti, caotici e strampalati del mio calendario annuale. La verità, nuda e cruda, è che ho dovuto operare una scelta: faccio indigestione di film – ritagliandomi del tempo per scrivere qualcosa per il quotidiano che mi ha spedita qui – o mangio con moderazione e racconto qualcosa su Afroditelo? Lettore, lo ammetto: ho scelto l’ingordigia.
Ma eccomi qui, ora, con il capo cosparso di cenere cinefila, a farti sbirciare dietro al sipario di Venezia 80.

Ti confesso che, anche se per captare emozioni e impressioni generali rimane sempre valida la lettera d’amore al Festival che ho scritto due anni fa, questa ottantesima edizione del Festival mi è parsa decisamente sottotono: aspettative eccessivamente alte sui film in concorso, forse?


Probabile: ammetto, un po’ malinconica, che dal dramma interiore della Priscilla di Sofia Coppola e dai retroscena dei momenti bui dell’Enzo Ferrari di Michael Mann mi aspettavo molto di più. Come, del resto, mi aspettavo qualcosa di diverso dalla trasfigurazione in vampiro del Generale Pinochet operata da Pablo Larraìn in El Conde o, ancora, dall’assassino glaciale e solitario attorno a cui si snoda The Killer di David Fincher (uno dei miei registi preferiti, tra l’altro). Film brutti? No, non direi. Ma racconti per immagini che, per una ragione o per l’altro, mi hanno vista uscire dalla sala con l’amaro in bocca…ma magari degli aspetti negativi te ne parlo in un altro momento.

Oggi, invece, a distanza di una settimana esatta dalla fine di questa edizione della Mostra, voglio lasciare spazio a cinque titoli di provenienza, genere e tematiche differenti che hanno conquistato il mio cuoricino cinefilo facendolo battere all’impazzata, ricordandomi – in mezzo a una miriade di film brutti, mediocri, noiosi, incomprensibili o di dubbia qualità – cosa rende la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia una kermesse così speciale.

LA MIA TOP FIVE DI #VENEZIA80

TATAMI (Dir. Guy Nattiv; Zar Amir Ebrahimi)

All’alba del quarto giorno di Festival, con tredici film alle spalle (non sono pazza, ho tenuto traccia su letterboxd), quando ormai non ci speravo – quasi – più…improvvisamente, la luce.
Con Tatami è stato amore a primo frame: un tagliente e impattante bianco e nero in 4:3 accompagna la turbolenta storia di Leila (una stre-pi-to-sa Arienne Mandi), campionessa iraniana di judo che, nel giorno dei campionati mondiali, viene costretta a ritirarsi dalle autorità iraniane per evitare il possibile scontro con l’avversaria israeliana. Liberamente tratto dalla storia vera della pugile iraniana Sadaf Khadem, Tatami è il racconto denso e claustrofobico di una battaglia combattuta con tutta l’eleganza e l’onore che caratterizzano il judo, un film profondo, capace di districare gli aspetti più umani di una prigionia politico-sociale disumana che continua a mietere vittime nel silenzio più oppressivo.

ZIELONA GRENICA – Il Confine Verde (Dir. Agnieszka Holland)

Tu, lettorə lo sapevi che al confine tra Polonia e Biolorussia si trova un polmone verde e paludoso che si estende per kilometri e kilometri? E lo sapevi che quell’area selvaggia e inospitale nasconde centinaia di esuli alla disperata ricerca di varcare il confine polacco per trovare rifugio in Unione Europea? E, soprattutto, lo sapevi che quelle persone vengono trattate come spazzatura, picchiati, derisi e gettati dai recinti di filo spinato da Polacchi e Bielorussi che non vogliono prendersi la responsabilità di quelle vite?
Io, francamente – e lo dico con tutta la vergogna che caratterizza l’ignoranza – non lo sapevo.
L’ho scoperto nel magistrale racconto che la regista e sceneggiatrice polacca Agnieszka Holland dedica a questo tema nel suo Zielona Grenica (lett. Il confine verde).


C’è chi ha arricciato le labbra, definendolo un film eccessivamente politico.
Ancora profondamente scossa da quei 152 minuti di proiezione, mi sento di dire che si tratta di un racconto terribile, indimenticabile, indigeribile. Un film di una bellezza devastante, e assolutamente necessario.

POVERE CREATURE! (Dir. Yorgos Lanthimos)

Tagliamo la testa al toro, perché ne ho veramente sentite di ogni colore. La maggior parte delle persone uscite dall’anteprima di Poor Things! – l’ultima fatica di quel pazzoide senza peli sulla lingua che è Yorgos Lanthimos – sembrava avessero appena assistito alla più incredibile e sconvolgente apparizione divina. Questo entusiasmo senza precedenti ha coinvolto anche chi vi scrive? Mah,sì..e no. Per quanto talentuosa e degna di nota, non ho percepito nessuna qualità divina nella performance di Emma Stone. Allo stesso tempo, devo confermare che Lanthimos – di cui ho AMATO La Favorita – mi ha in qualche maniera stregata: Poor Things! è un film che punta in maniera vincente sull’eccentricità, regalandoci un’evoluzione punk-enchantix (i millennials sanno) di un’Alice nel paese delle Meraviglie plasmata da un..ehm..alternativo Dr. Frankenstein (Willem Defoe, anche quest’anno presentissimo sugli schermi del Lido di Venezia). Costumi pazzeschi, scenografie da urlo, una sceneggiatura scandita da humour e plot twist, con qualche – talvolta esagerata – pennellata trash. Non ci avete capito niente? Meglio, non vi resta che aspettare gennaio e andare al cinema.

Kobieta Z… – Woman of… (Dir. Michał Englert, Małgorzata Szumowska)

Regola numero uno del fight club: non entrare in sala con pregiudizi negativi solo perché si preannuncia un film abbastanza lungo di genere drammatico….potrebbe rivelarsi uno dei film dell’anno. È stato così – per me – con Kobieta Z, film polacco incentrato sulla struggente vicenda di Aniela, una donna trans che si trova a fare i conti con un paese cattolico e una società che fatica a togliere il paraocchi.
Un film che trova nei silenzi, nei colori pastello e in una fotografia raffinata e delicata la chiave per dissezionare i temi di rinascita e cambiamento e portarli su schermo con originalità ed eleganza.
Tante lacrime commosse, tanta dolorosa empatia.
Un film fragile, da guardare con cura.

Io Capitano (Dir. Matteo Garrone)

Pochi momenti mi hanno portata ad applaudire forte come il premio Mastroianni attribuito al giovanissimo Seydou Sarr per la sua performance in Io Capitano di Matteo Garrone. Un attore in erba, scelto da Garrone per le strade della periferia Dakar, così somigliante per aspirazioni ed esperienza al Seydou che interpreta sul grande schermo. Il Seydou della fiama omerica garroniana lascia la sua piccola ed umile casa insieme al cugino Moussa per inseguire il suo sogno di una vita in Europa. Il viaggio dell’eroe si rivela lungo e aspro, ma rappresenterà per i due ragazzi l’occasione per una crescita obbligata, che li porterà lontano da ogni punto di vista.
Lo trovate in sala, andate a vederlo!


Hai già visto qualcuno dei film proiettati in questa edizione del Festival del Cinema di Venezia? Fammelo sapere! A prestissimo!

-M.

Hai voglia di leggere qualcosa a tema cinema/serie tv? 🎬 Qui sotto potrebbe esserci qualcosa per te: